Autore: Catello Masullo

Il 15 giugno, a Kabul, la capitale dell’Afghanistan, in qualità di Chairman & C.E.O. della società di ingegneria italiana Hydroarch S.r.l., ho firmato con il Ministro dell’Acqua e dell’Energia un contratto per la progettazione di una diga a gravità di 81 metri di altezza, la diga di Bakhshabad sul fiume Farah Rud, un impianto idroelettrico da 27 MW ed un enorme impianto di irrigazione su 70.000 ettari di territorio desertico.

A questo progetto l’Afghanistan attribuisce una grande importanza. Testimoniata dal fatto che la cerimonia della firma del contratto si è svolta nello splendore del Palazzo Presidenziale, per espresso volere del Presidente della Repubblica Islamica, ed in sua presenza. Con l’intervento di uno stuolo impressionante di giornalisti, fotografi ed operatori tv, di autorità, come il Governatore della Provincia di Farah, His Excellency Asif Nang, convocato per l’occasione, e di vari parlamentari. Quando mi è stata data la parola, ho suscitato qualche sorriso, in un pubblico per il resto molto serio, quando ho fatto notare che il Ministro dell’Acqua è ingegnere idraulico come me. E quindi ha una competenza specifica. E Che il paese che negli ultimi decenni ha conseguito la crescita economica più impetuosa al mondo, cioè la Cina, fino a due anni fa era governata da un direttorio composto da 11 persone, tutte ingegneri, ed il cui leader era proprio un ingegnere idraulico. Il sorriso si è aperto ulteriormente quando ho fatto notare la curiosità che nella lingua cinese il concetto di “buon governo” è espresso da un ideogramma che rappresenta una diga. Quindi la antica saggezza popolare cinese ha ritenuto che una diga, che governa le acque, potesse esprimere, più in generale, il buon governo delle cose e di un paese. E quindi quello che si stava facendo in quel momento, cominciare a progettare una diga, era un atto di buon governo.

Devo dire che sono restato molto impressionato dalla agilità e rapidità di decisioni del Governo Afghano. La firma del contratto è stata, infatti, in forse fino al tardo pomeriggio di ieri. In quanto, per le ragioni che chiariscono in seguito, non era certo che avrei avuto la “Performance Guarantee” dalla banca Afghana cui l’avevo chiesto. L’ho avuta solo in serata e nel giro di pochi minuti è stata organizzata una cerimonia di firma in pompa magna, con addirittura la convocazione del Governatore della Provincia, molto distante da Kabul. Una efficienza di raro riscontro, che ha contagiato anche l’Ambasciata dell’Afghanistan a Roma, che mi ha rilasciato il visto per questa missione in 15 minuti netti. Quasi il cambio di gomme di una Ferrari di Formula Uno!imm Masullo1

Questo relativo “successo” in questa gara internazionale mi da adito di proporre qualche riflessione sulla internazionalizzazione della ingegneria italiana e sul cammino irto di ostacoli che occorre affrontare. Il primo e più grande ostacolo è storicamente dovuto alla mancanza di supporto del sistema paese. Le nostre concorrenti società di ingegneria degli altri paesi occidentali, cosiddetti “donatori”, penetrano nei mercati della ingegneria dei cosiddetti “paesi in via di sviluppo”, meglio paesi non industrializzati, per il tramite delle loro cooperazioni bilaterali. Una volta penetrate e così maturate referenze e conoscenze specifiche, si mettono a competere sul mercato dei progetti finanziati dalle grandi Banche, quali la banca Mondiale, il Fondo Europeo per lo Sviluppo, ecc. Supportati, ulteriormente, in questo dai propri sistemi paese. Che ne favoriscono in tutti i modi, leciti e meno leciti, la aggiudicazione delle gare internazionali. Inoltre le società di ingegneria estere partono avvantaggiate dal fatto che diventano robuste con le commesse interne, prima di tentare la via della internazionalizzazione. Nei loro paesi, infatti, si continua ad investire nell’ammodernamento, al contrario di quello che si fa in Italia. In cui il mercato dell’ingegneria langue da decenni oramai. La nostra cooperazione bilaterale pure è al palo da almeno 3 decenni, disperdendosi in migliaia di rivoli di piccoli e piccolissimi progetti, diretti per lo più a Organizzazioni No profit. Altro ostacolo il non sempre incoraggiamento delle istituzioni. Quando mi accingevo a fare la prima missione a Kabul, un paio di mesi orsono, per la negoziazione del contratto, dopo la aggiudicazione della gara internazionale, mi era sembrato doveroso informare l’Ambasciata Italiana a Kabul del viaggio e di dove avrei alloggiato. Anche per avere qualche eventuale consiglio ed indicazione. La risposta è stata questa :” la ringrazio per la cortese nota che ha trasmesso con la mail in calce. Al riguardo, mi preme informarLa che le condizioni di sicurezza in Afghanistan hanno subito un sensibile deterioramento in tutto le aree del Paese, inclusa la capitale. E’ assai elevato il rischio di attentati nelle principali città, anche a Kabul, ai danni di obiettivi istituzionali o di strutture frequentate da stranieri (guest house, alberghi, ristoranti, uffici, abitazioni, mercati, etc.). Non è da meno l’albergo citato nella nota, oggetto di un attacco da parte dei talebani qualche anno fa. Alla luce di quanto sopra, il viaggio è altamente sconsigliato”.imm Masullo2

Capisco che l’Afghanistan non è il più tranquillo dei paesi, e che tale risposta è quella “tipo”, che sconsiglia, giustamente, i viaggi nei posti pericolosi, e che burocraticamente scarica le responsabilità di chi le manda. Tuttavia, non la considererei esattamente un incoraggiamento alla internazionalizzazione. D’altra parte il lavoro bisogna andarselo a cercare dove c’è. Se la mia società di ingegneria avesse dovuto campare solo con i lavori pubblici finanziati dallo stato italiano, sarebbe fallita da decenni. E non si tratta della prima esperienza in paesi in guerra. Abbiamo progettato una strada lunga mille km in Ciad. Per fare i rilievi topografici ci hanno obbligato ad avere una scorta armata. Quando non ci hanno consentito di andare nemmeno con la scorta armata (a causa di combattimenti in atto) , sono andato a lamentarmi con il Direttore generale del Ministero competente del Ciad. Il quale mi ha candidamente risposto: “Sono 30 anni che lavoro in un paese in guerra, per me è la normalità. Quando avete assunto l’incarico sapevate che il paese era in guerra, di cosa vi lamentate?”.

Altro ostacolo è il sistema del credito. Prendiamo il caso di specie di questo contratto appena firmato in Afghanistan. Anche se nella bozza di contratto allegato ai documenti di gara non c’era scritto nulla al riguardo, il Governo Afghano ci fa sapere che, per intervenuta modifica legislativa , prima di firmare il contratto occorreva presentare una “Performance Guarantee”, in pratica una fidejussione che può essere escussa dal cliente in caso di inadempienza dell’incaricato. Come facciamo da 40 anni, ci mettiamo alla ricerca di un istituto di credito disponibile a rilasciare tale garanzia e la troviamo, sul mercato internazionale. La sottoponiamo a cliente per approvazione. E ce la rigetta, precisando che avrebbero accettato una garanzia solo se prestata da banca Afghana. Le banche Afghane prestano tali garanzie solo se l’intero importo da garantire viene fisicamente depositato presso la banca stessa. Non essendo ricco di famiglia, ed avendo tutti i conti in rosso da sempre (avete presente la locuzione “ritardati pagamenti da parte della Pubblica Amministrazione”?), provo a rivolgermi alle banche con le quali lavoriamo da decenni. Cercando di farmi prestare la somma necessaria, pena la perdita del contratto, ma fornendo a garanzia la casa di mia proprietà, che vale 5 volte la cifra richiesta. Risposta? “Queste operazioni non le facciamo!”. Ma fanno le banche, oppure i pizzicagnoli? Morale: troviamo il capitale sul mercato afghano (sigh!), ma a costi esorbitanti. La legge è sempre la stessa: se vuoi lavorare, devi prima pagare.

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