Autore: Giuseppe Frega, Emerito di Costruzioni Idrauliche, Università della Calabria

Lucrezio nel “De Rerum Natura” libro I cosi descrive il fenomeno delle alluvioni:

Esistono dunque, senza dubbio, invisibili corpi di vento
che spazzano il mare, le terre e alfine le nuvole in cielo ed
imperversando rapidi tra di esse le rapiscono in un turbine,
scorrono e spargono strage,
quando la molle natura dell’acqua
s’avventa in straripante fiume:
un gran defluire d’acque lo ingrossa giù dagli alti monti,
scaglia rottami di piante e alberi interi;
né solidi ponti possono resistere
all’improvvisa violenza dell’acqua che incalza:
tanto il fiume, torbido per le grandi piogge,
si scaglia con irresistibile forza contro gli argini,
tutto travolte, semina strage
e abbatte ogni ostacolo
ovunque si opponga ai suoi flutti.

Nella cantina di casa del poeta Eugenio Montale l’allagamento dovuto alla piena dell’Arno del 1966 gli fa attribuire una sorte di personificazione alle carte che erano là custodite, carte che alla fine sono distrutte avendo sofferto e ciecamente lottato (E. Montale: “L’alluvione ha sommerso il pack dei mobili” in STRUMENTI CRITICI, 1967).

L’analisi storica serve a porre nella giusta luce gli eventi che sono quasi paradigmaticamente ritenuti catastrofici. Se ne ha un esempio nella ricostruzione delle alluvioni di Firenze nel convegno dal titolo ACQUA NEMICA tenutosi nel 2015 presso l’Università: è emersa addirittura la non eccezionalità dell’alluvione del 1966 se raffrontata alle innumerevoli testimonianze delle alluvioni precedenti tra le quali risulterebbe veramente eccezionale quella del 1333.

Nei ritmi naturali, secondo I. Becchi, la frequenza delle alluvioni in Italia sarebbe circa una volta ogni 10 anni, ma negli ultimi millenni l’intervento umano con argini e le canalizzazioni ha spostato questa frequenza a valori che vanno dai 25 anni per le aree agricole ai 200 anni per quelle residenziali.

Ciò vale ovviamente a fenomeni che si manifestano nello stesso posto. Lo stesso autore individua inoltre due diverse visioni quando ci si riferisce a questi fenomeni, una che si potrebbe definire industriale in cui il naturalismo viene proclamato solo a garanzia della gratuità ed una rurale in cui l’acqua è prodotta dalle variazioni climatiche interpretate spesso come la biblica alternanza di 7 anni di vacche grasse e 7 anni di vacche magre.

Alla luce della cronaca di quanto avvenne a Firenze nel 1966, G. Federici scrive che in ordine al rischio idraulico, cioè ai danni che una alluvione può produrre, per l’alluvione in parola, nell’area metropolitana, con una stima approssimativa si può pensare ad una entità di danno pari a circa 20 miliardi di euro.

Per l’Arno a Firenze a fronte della richiesta della Protezione civile che per salvaguardare almeno il patrimonio artistico chiedeva di arrivare ad un preavviso di 6-12 ore, la Prefettura e l’Autorità di bacino hanno dichiarato che senza opere di tipo strutturale non si era in grado di evitare di avere l’acqua nelle strade in caso di alluvione.

Infatti ciò che interessa le varie Autorità, in caso di alluvione, più che il valore della portata, è la perimetrazione delle aree inondabili basata su studi in fase di avanzate indagini come, ad esempio, presso l’Università della Calabria sotto la guida di F. Macchione.

C’è anche una considerazione da fare sugli interventi non strutturali che stanno venendo meno perché le montagne continuano a spopolarsi e quindi difetta l’assetto dei boschi e dei fossi, sebbene questi ultimi interventi non siano in percentuale della stessa importanza degli interventi strutturali.

Sempre con riferimento all’alluvione di Firenze, tenuto presente che nel corso di questa l’Arno aveva scaricato oltre 400 milioni di metri cubi di acqua e fango, dei quali almeno 80 erano transitati e ristagnanti per le strade e le piazze della città, si arguisce facilmente quanto grande dev’essere il volume da assegnare ai serbatoi a monte della città per far fronte ai disastri prevedibili.

Va ribadito che i serbatoi sono una delle poche soluzioni atte a risolvere i problemi indotti dalle piene e non solo.

Accumulare l’acqua sia per contrastare la siccità sia per la laminazione delle piene è forse l’unica possibilità che abbiamo per affrontare le variazioni climatiche in atto.

In ogni caso è opportuno non trascurare la resilienza, nuova parola di moda, cioè la capacità di reagire alle catastrofi per raggiungere un buon equilibrio di indubbia valenza anche sociale.

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