Si dice troppo spesso che “occorre superare la logica delle emergenze”,  investire in prevenzione. Le risorse idriche del nostro Paese sono importanti, lo ha ribadito anche Lei durante la Conferenza a Roma il 22 marzo, siccità e alluvioni, due lati della stessa medaglia, in termini di calamità, mi pare che ad oggi continuino però ad essere due temutissime cause di rischio e concause di dissesto idrogeologico. Sta cambiando qualcosa al riguardo nel sistema di prevenzione del nostro Paese?

Sta finalmente cambiando molto nell’approccio ai rischi naturali o meglio alla sicurezza. Era ora che questo meraviglioso Paese-show room di pericoli iniziasse a voltar pagina e a creare le condizioni finanziarie e legislative per una grande opera pubblica collettiva come la prevenzione strutturale. Tre anni di lavoro di italiasicura dimostrano che è possibile recuperare i sacri concetti della legge 183 poi rimossi come quelli di “progetto”, “pianificazione”, “programmazione a lungo termine”, la difesa dalle alluvioni legata alla difesa del suolo e alla tutela della risorsa idrica. L’idea di creare una struttura di missione a Palazzo Chigi nacque proprio dalla constatazione del fallimento della prevenzione, parola-simbolo presente in tutti i documenti e i convegni ma mai resa politica di governo, e dall’urgenza di dover cambiare tutto per non  lasciare città e territori in balia non tanto del “rischio residuo” – destinato a restare in territori come i nostri – ma di ogni evento meteo, anche non importante. Oggi abbiamo un piano nazionale di opere (circa 9000, ma il 90% da progettare) e un piano finanziario con 9,8 miliardi di euro in sette anni. Un lavoro enorme realizzato con il Ministero dell’Ambiente e il ministro Galletti innanzitutto, ci ha fa passare dall’inseguire le emergenze al lavoro ordinario di prevenzione costante e con nuove linee guida tecniche che comportano un’attività di formazione permanente con dirigenti e tecnici in ogni Regione e le reti professioni. Italiasicura è un modello che viene replicato nella sismica con il nascente Dipartimento di Casa Italia.

L’Italia ha un reticolo idrico fluviale  molto vasto e per questo difficile da gestire, o ci sono altre cause che ne giustificano una complessa governabilità  che secondo lei vale la pena di evidenziare?

C’è da arginare l’alluvione burocratica e il dominio delle procedure formali che vedono accavallarsi in materia idrica oltre 1.300 norme e vari interventi legislativi statali e regionali emanati dopo la legge-quadro del 1989, un sovraccarico di articolati tutti sempre interpretabili da un altrettanto abnorme numero di circa 3.600 amministrazioni, uffici, consorzi, commissari, enti e soggetti sui territori con titolarità e competenze a vario titolo in materia e non coordinati. Una fitta giungla che abbiamo iniziato a disboscare e regolare. Non era più accettabile vedere l’Italia che crolla, frana e si allaga perché, pur in presenza di risorse e progetti, bisognava aspettare firme, timbri e pareri con tempi indefiniti. Con la “norma Bisagno” dello Sblocca Italia e con la nomina dei presidenti di Regione a commissari di governo contro il dissesto sono stati aperti o riaperti oltre mille cantieri fermi per 2.7 miliardi di euro.

Parliamo di acqua. I cittadini spesso si chiedono: “ma chi la gestisce l’acqua in Italia”.  Pare di capire che si tratti pressappoco di una “giungla” in cui troppo competenze finiscono per “annacquare” quelli che sono i problemi più irti e irrisolti sul tema, con ovvie ricadute sul piano economico e industriale. Quali sono i problemi più spinosi?

Partiamo da tre verità. Prima verità, tutta l’acqua superficiale e sotterranea, tutti gli impianti e tutte le reti di acquedotto e fognatura, tutti i canali di bonifica e i relativi impianti in Italia sono beni pubblici di proprietà pubblica e inalienabili e tali resteranno per legge. Seconda verità, metà della risorsa idrica utilizzata, appena l’11% del totale disponibile, viene prelevata in agricoltura, il 27% per usi civili, il resto dall’industria e per usi energetici. Terza verità, tutte le aziende idriche compresi i colossi quotati in borsa (Acea, Iren, Hera…) sono controllate dai sindaci e nel caso dell’Acquedotto pugliese dalla Regione. Sono totalmente pubbliche, e le più grandi che sono le più efficienti hanno soci industriali di minoranza ma i ‘padroni’ sono i sindaci eletti da noi cittadini. Loro e l’Autorità idrica nazionale decidono piani e tariffe che sono le più basse d’Europa, in media 135 euro l’anno a famiglia. Terza verità: il ciclo dell’acqua in un terzo dell’Italia non si chiude come prevede da 23 anni la legge Galli. Siamo infatti sotto infrazione per mancata depurazione (paghiamo dal 2016 i primi 60 milioni di sanzioni Ue) e circa il 40% dei fiumi sono inquinati e 9 milioni di italiani soprattutto al Sud hanno problemi al rubinetto. Abbiamo il tema delle concessioni di prelievo per acque minerali o per altri usi da parte delle Regioni che non è uniforme, e aumenta l’impatto dovuto alla mutazione climatica in corso. Per questo servono scelte responsabili.

L’acqua è un bene pubblico, l’acqua è di tutti, quindi quando si parla di “privatizzazioni” esattamente a cosa ci si riferisce? Cosa privatizzare e cosa assolutamente no!

L’acqua come dicevo prima è il bene comune degli italiani. Punto. La proprietà della risorsa è pubblica e incedibile. Così come le infrastrutture. Il settore è pienamente sotto il controllo di Autorità pubbliche nazionali e locali come ribadisce l’articolo 1 della Legge n. 36, la legge Galli del 1994, una delle normative più avanzate che considera l’accesso all’acqua un diritto fondamentale, inalienabile, individuale e collettivo. L’acqua non è materia prima in tariffa come il gas o l’elettricità perché non è considerata per legge una merce. Paghiamo in tariffa altre voci come servizi, opere e manutenzioni. Non è insomma un bene privatizzabile. Attenti quindi a non confondere gestione industriali di tubi e impianti su concessione pubblica con privatizzazione della risorsa, e aziende pubbliche come Acea al 51% di proprietà del Campidoglio e quotata in borsa con privati speculatori. Ci sono molti problemi da affrontare, cose importanti da non scaricare sulle spalle delle future generazioni. L’acqua richiama fortemente il tema delle opere che le sono funzionali. Mettiamo fine allo schema delle curve sud, ognuna con la sua icona ideologica di privatizzazione o ripubblicizzazione o altro, perché ci conduce verso due destinazioni: al mantenimento dello status quo, e ad immaginare nemici là dove non ci sono.

Concludo la breve intervista chiedendole semplicemente: “Una bella notizia sul tema “Acque”? …
(grazie!)

Bellissima e sorprendente. Abbiamo iniziato ad aggiornare il quadro generale dell’idrologia e delle risorse idriche dopo 46 anni. Tanto è trascorso dalla prima Conferenza nazionale sulle acque del 1971, organizzata dal Senato. Fu un lavoro scientificamente qualificato che consegnò statistiche su tutti gli aspetti (piogge, evaporazione, deflussi superficiali e sotterranei, stato di qualità, utilizzi, tutela). In termini di precipitazioni e portate abbiamo una decisa abbondanza di acqua: 302 miliardi di metri cubi l’anno di pioggia in media, circa 2.800 metri cubi/abitante, dotazione superiore a Gran Bretagna o Germania. Nel periodo 2001-2015 si è registrato un aumento rispetto al 1971-2000. Abbiamo in custodia il più importante patrimonio idrico europeo composto da 1.242 corsi d’acqua, 14 laghi naturali, 183 laghi artificiali, 4000 specchi d’acqua alpini, 1.053 corpi idrici sotterranei, un centinaio di foci fluviali. L’Italia potrebbe essere tranquillamente definita come una penisola blu.

a cura di Lorena Cecchini

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