Autore: Giuseppe Corrado Frega, Emerito dell’Università della Calabria

Il Centro di Documentazione Conflitti Ambientali (CDCA) si occupa della catalogazione delle pratiche di successo (Best practices) in occasione di crisi ambientali e della informazione più opportuna da parte degli organismi di pertinenza nei riguardi della pubblica opinione.

Quest’ultima di norma protesta nei riguardi dell’inquinamento di attività delle quali si notano i danni alla salute e all’ambiente, ma talvolta cerca di impedire che vengano realizzate opere considerate dannose per l’ambiente, inutili o tecnicamente sbagliate.

Peraltro il conflitto può sorgere anche per i danni che persistono al cessare delle attività di cui sopra.

Esiste poi tutto un vasto capitolo di conflitti che riguardano l’ambiente di lavoro, cioè i danni e pericoli a cui si è esposti all’interno delle fabbriche, delle cave e miniere, dei cantieri, nei confronti dei datori di lavoro che non assicurano adeguate condizioni di sicurezza.

Un tema che è stato ben presente nelle organizzazioni sindacali e nella cultura scientifica da oltre mezzo secolo e che ha portato, solo di recente, all’emanazione dei decreti n.626 del 1994 e 81 del 2008, che stabiliscono maggiori precauzioni, nonostante le quali ogni anno oltre mille persone perdono la vita nell’ambiente di lavoro.

Risulta quindi la grande utilità dello studio di tutte le questioni in esame per vedere come esse siano state risolte in passato e come se ne possano trarre utili informazioni per il futuro.

Tali informazioni devono essere fornite ai cittadini coinvolti con l’indicazione dei rischi e delle misure di mitigazione degli stessi.

Il risultato ottimale da perseguire con le comunicazioni richiede che si promuova una presenza dei Social-media ed una vasta diffusione dei messaggi di prevenzione, stabilendo altresì delle procedure di verifica di attuazione dei rimedi adottati. Si tratta in sostanza di ricorrere alle forme democratiche di controllo riguardo a tali conflitti ambientali.

Un caso di studio indicativo di quanto è possibile fare è quello relativo alle piene fluviali nel South-West inglese del dicembre 2013 e del gennaio 2014. Piogge eccezionali provocarono in molte aree costiere esondazioni che interessarono anche la rete ferroviaria inglese.

I danni furono stimati qualche mese dopo e stabilirono che 135 milioni di sterline erano relativi alle opere idrauliche di difesa, mentre le società assicuratrici subirono richieste, per il periodo fra il 23 dicembre 2013 e il 28 febbraio 2014, di 1,1 bilioni di sterline.

Il Cornwall Council promosse una campagna per la mitigazione dell’impatto economico delle piene sulla industria locale del turismo.

Furono perciò mobilitate tutte le possibilità di comunicazione alle popolazioni dalle previsioni meteoriche alle indicazioni dei lavori idraulici nei corsi d’acqua non trascurando tutte le linee-guida di mitigazione e di soccorso nelle evenienze più sfavorevoli.

E in Italia?

La protesta popolare continua ad occuparsi dei casi relativi all’ILVA di Taranto e alla centrale idroelettrica a carbone di Brindisi Sud, attività in funzione.

Ma esistono anche le proteste contro i progetti di costruzione delle centrali nucleari, contro le fabbriche di proteine del petrolio inattuate perché sbagliate, contro il Terzo Valico fra Liguria e Piemonte, contro la TAV, resa famosa più dalle proteste che dal progetto, contro il ponte sullo stretto di Messina che a prescindere della sua utilità potrebbe alterare i territori attraversati.

Un opportuno approfondimento degli studi non ideologicamente basato si auspica possa condurre a soluzione i detti problemi.

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