Autore: Giorgio Cesari, Autorità di Bacino Fiume Tevere

Nella Direttiva 2007/60/CE e nel D.Lgs. 49/2010, le zone costiere sono nominate essenzialmente in due punti: nella definizione di alluvioni (art. 2), allorché si definiscono incluse oltre alle “inondazioni causate da fiumi, torrenti di montagna, corsi d’acqua temporanei mediterranei” anche le inondazioni marine delle zone costiere; nell’art. 6 – comma 4 in cui si specifica che per le zone costiere, in cui esiste un adeguato livello di protezione, l’elaborazione di mappe della pericolosità da alluvione si possa limitare al solo scenario più gravoso (eventi estremi).
La situazione relativa alla valutazione del rischio costiero da inondazione si presenta piuttosto diversa rispetto a quanto risulta essere stato già fatto dalle Autorità di Bacino e Regioni in materia di rischio idraulico di origine fluviale. Sono ancora poche, rispetto al totale dello sviluppo della fascia costiera del nostro Paese, le porzioni di territorio costiero sottoposte ad una valutazione dei rischi di inondazione.
In Italia è stata, infatti, data maggior importanza, in termini di studi, piani effettuati e interventi con opere di protezione specie in prossimità di aree urbane e di infrastrutture viarie ai fenomeni di erosione costiera più che di inondazione. La maggiore attenzione è stata determinata dalla constatazione che, rispetto agli altri paesi europei, l’erosione è in grado di mettere in crisi strutture collocate lungo la riva del mare e di sottrarre porzioni di territorio che in genere sono intensamente sfruttate a fini turistici, residenziali e produttivi. Le azioni finalizzate alla prevenzione e alla protezione dall’erosione costiera agiscono, in ogni modo, come fattori di mitigazione del rischio da inondazione costiera.
Considerata la modesta estensione del tratto costiero ricadente all’interno del Bacino del Fiume Tevere si è ritenuto opportuno, nella redazione del Piano di Gestione del Rischio Alluvioni, di rinviare tale specifica analisi al prossimo sessennio (2016-2021) in modo da trattare la materia a livello di Distretto redigendo un quadro coerente con le Regioni che presentano tratti costieri di maggiore ampiezza, nell’attesa, anche, di una proposta di classificazione omogenea per l’intero territorio nazionale.
Volendo fornire un primo quadro per il contesto locale delle sole coste laziali, è possibile riferirsi all’Atlante della dinamica costiera realizzato dalla Regione Lazio nell’ambito del progetto europeo MAREMED (MAritime Regions cooperation for MEDiterranean) in partenariato con altre istituzioni dei paesi mediterranei che operano nel settore del mare e delle coste di Spagna, Francia, Grecia e Cipro.
Il progetto indaga sei temi strategici legati alla politica marittima: la gestione integrata delle zone costiere, l’inquinamento, l’adattamento al cambiamento climatico della zona costiera, la pesca, la gestione dei dati dei litorali e marittimi e la governance.
Sulla base dei dati relativi alla climatologia costiera, di valutazioni globali sul bilancio sedimentario, dell’acquisizione di immagini aeree e satellitari dal 1944 al 2011 sono state elaborate tavole e statistiche che costituiscono, appunto, l’”Atlante della dinamica costiera”.
Il litorale laziale, esteso per più di 300 km, è in vari tratti soggetto a fenomeni erosivi che ne pregiudicano l’integrità e l’equilibrio morfologico e naturalistico; per contenere e contrastare i fenomeni erosivi della costa laziale, la Regione Lazio ha ipotizzato specifiche tipologie e siti di intervento rappresentati nelle tavole “Dinamica costiera 2005-2011: criticità e indicazioni di intervento”. In tali elaborati sono
individuate le zone di erosione, riporto nonché le zone costiere che si conservano stabili. A fronte della mappatura sono stati ipotizzate le seguenti tipologie di intervento:
• riconfiguazione di scogliera emersa
• rifiorimento di scogliera esistente
• barriera sommersa
• realizzazione pennelli
• rinascimenti
• dragaggi
• salvaguardia della duna
Il livello di definizione tecnica e amministrativa degli interventi ipotizzati richiede tuttavia un approfondimento maggiore che renderà possibile la valutazione e la selezione degli interventi previsti nel secondo ciclo di pianificazione distrettuale.
Sulla portualità, si rammenta il Piano strategico nazionale della Portualità e della logistica lanciato dal governo che intende operare sullo sviluppo di un settore che vale il 3% del Pil, ovvero 40 miliardi di euro. Il Piano ha l’obiettivo di semplificare e ridurre la burocrazia nello sdoganamento delle merci e di tutte le procedure tecnico amministrative in ambito portuale e razionalizzare il sistema portuale.
Molto interessante è il trend positivo della nautica da diporto e, parimenti, la richiesta di posti barca ad uso diportistico. A una crescente domanda non ha però finora fatto seguito un’adeguata risposta, sopratutto in termini di qualità. Peraltro, il turismo nautico internazionale potrebbe essere un’importante risorsa per il nostro Paese, considerata la posizione della penisola, naturale approdo del Mediterraneo. Ma il problema legato all’offerta di “qualità” deve ricomprendere vari aspetti e non solo quelli inerenti allo specifico attracco e servizi a terra.
A tal fine alla nautica e alla diportistica devono corrispondere anche iniziative mirate di sostenibilità oltre che di difesa della costa. E proprio relativamente agli interventi di ripascimento, alle zone caratterizzate da dinamiche di erosione, stabilità o di avanzamento della linea costiera con la prospettiva di tendenza, si segnala la proposta di riconvertire la difesa tradizionale delle coste tramite barriere di turbine mesogalleggianti che, posizionate a pettine a qualche centinaio di metri dalla costa, producono energia marina dalle correnti superficiali, depotenziando le velocità dei flussi in arrivo verso i litorali e favorendo nel contempo la deposizione della sabbia in sospensione e il ripascimento naturale del fondale interessato, fenomeno non attuabile con i convertitori di energia offshore.
Tra i benefici:
• Riattecchimento delle praterie marine con il ripristino dell’ecosistema tramite lo sviluppo della posidonia e il ripopolamento ittico lungo le fasce di 300 ÷ 500 m dal litorale protette dalle barriere artificiali proposte, utilizzabili anche per le colture di mitili, e assimilabili alle barriere coralline.
• Visibilità solo della serie di boe rosse illuminate sulle teste delle turbine, collegate in barriere ove si produce energia che va poi a terra, in modo da delimitare la “no fishing zone” interrotta solo nei passaggi dedicati alla nautica da diporto.
• Eliminazione dei prelievi di sabbia con sorbone sui fondali a largo per ripascimenti artificiali.
• Eliminazione delle scogliere emergenti e delle ricariche con i massi consentendo la riqualifica del paesaggio, evitando di bloccare le alghe da eutrofizzazione e favorendo il disinquinamento.
• Funzionamento delle turbine anche in emergenza in caso di terremoto in quanto assimilabili a oscillatori semplici antisismici, con massa nulla in sommità essendo mesogalleggiante e pertanto un periodo proprio nullo lontano dalla risonanza nello spettro marino.
• Disponibilità ulteriore di energia sia lungo i litorali sia nei porti, come pure tramite attracchi lungo le barriere per la nautica da diporto in transito, specialmente con sviluppo dei moderni sistemi di energy storage ed evitando il sovraffollamento estivo dei porti.
• Aumento della sicurezza notturna tramite l’illuminazione permanente delle barriere.

Condividi l'articolo con gli amici.