Autori: Claudia D’Ovidio, Marina Masone

1. Premessa
Il 2016 segna 40 anni dall’emanazione in Italia della prima legge ambientale (la 319/76 sulla tutela delle acque), da allora abbiamo assistito ad un susseguirsi di norme sempre più restrittive ispirate a principi di “command and control”. Tale approccio, però, non ha prodotto i risultati sperati in termini di miglioramento della qualità ambientale del territorio, rivelandosi pesantemente oneroso per il mondo industriale e poco efficace dal punto di vista delle Amministrazioni preposte alla governance del territorio. Tutto ciò, nonostante i sistemi volontari di certificazione, finalizzati al superamento di queste logiche, ed in particolare EMAS ed Ecolabel, risalgano ormai a circa 20 anni fa. Oggi l’approccio sta, finalmente, mutando radicalmente: si inizia da alcuni anni a parlare di strategie integrate e di green economy, si è finalmente compreso che la questione ambientale deve essere affrontata coinvolgendo tutti i portatori di interesse. Si parla sempre più di mercato sostenibile, piuttosto che di sviluppo sostenibile, e ciò comporta, anzitutto, una crescita culturale a tutti i livelli: si tende a ribaltare il principio del “chi inquina paga” nel più attuale “chi non inquina risparmia”.
La recente legge 221/2015 si orienta proprio in tal senso, dedicando un intero Capo all’applicazione obbligatoria del GPP per le PP.AA. e alle agevolazioni per le organizzazioni che si certificano ambientalmente. In altre parole, siamo di fronte ad un salto di qualità culturale che crea i presupposti per attivare un circolo virtuoso o, meglio, una “rete virtuosa”, in cui la tutela dell’ambiente diventa un progetto condiviso finalizzato alla conservazione della qualità del territorio, delle risorse naturali e della loro fruibilità presente e futura.

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