Autori: Giuseppe Maria Amendola, Caterina Francesca Di Giovanni

Da sempre i fiumi, reti fisiche e infrastrutture naturali dei territori, collegano popoli, paesaggi e culture, rappresentando una grande ricchezza per le città da diversi punti di vista: storico, economico, sociale e ambientale.

Per loro natura, i territori fluviali possiedono una ricercata peculiarità, la quale è allo stesso tempo una grande difficoltà nel campo di applicazione, ossia la necessità di essere gestiti attraverso un approccio integrato, multidimensionale, multidisciplinare e rivolto a vari attori. Anche la direttiva quadro sulle acque (2000/60/CE) afferma che l’approccio migliore alla gestione idrica si basa sui bacini idrografici – sul loro carattere tridimensionale e interdisciplinare – e su partecipazione e sostegno dell’opinione pubblica, che diventano elementi essenziali per la gestione della protezione delle acque.

Sebbene siano luogo di svariati studi, materie e competenze, i territori fluviali non sempre sono gestiti efficacemente secondo un approccio integrato: ne sono prova gli infelici e spesso disastrosi risultati riguardanti il dissesto idrogeologico del nostro Paese.

Oltre a svariate cause, è da imputare all’enorme apparato burocratico che li struttura amministrativamente, il quale genera incongruenze, frammentazioni e settorialismi nella pianificazione della piccola e della grande scala.

Pertanto per procedere secondo un criterio olistico del tema – e allo stesso tempo limitare tempi e risorse – sarebbe necessario riunire i diversi livelli della parte pubblica e tutti quelli che hanno competenze istituzionali sulla materia attraverso una “Conferenza di Servizi permanente” per analizzare i problemi e prendere soluzioni comuni all’unisono. L’esito non può essere, quindi, un singolo progetto o un insieme di progetti, ma un processo che si costruisce in itinere mediante non solo l’apporto professionale di tecnici, esperti e amministratori, ma anche con il coinvolgimento della collettività.

La gestione dei paesaggi fluviali attraverso la collettività – mediante cittadinanza attiva e associazioni del Terzo Settore – è un elemento da non sottovalutare dai punti di vista sociale e formativo perché innesca nei singoli cittadini una piena consapevolezza del bene comune e un senso civico duraturo di salvaguardia e valorizzazione del territorio.

Per questi motivi, da molti anni, si sta affermando nello scenario italiano uno strumento di programmazione partecipato e condiviso, che riunisce partner pubblici e privati, la cui finalità è sviluppare una visione condivisa e aderire a un piano d’azione per la gestione integrata di un bacino/sottobacino fluviale.

La definizione più comune dei contratti di fiume è quella data dal World Water Forum [1] del 2000: “I contratti di fiume sono forme di accordo che permettono di adottare un sistema di regole in cui i criteri di utilità pubblica, rendimento economico, valore sociale, sostenibilità ambientale, intervengono in modo paritario nella ricerca di soluzioni efficaci per la riqualificazione di un bacino fluviale”.

Sono, quindi, strumenti complessi e innovativi, basati su un processo di democrazia diretta e volontaria e proseguono nel loro articolato percorso solo se permane l’interesse collettivo a realizzare il piano d’azione, in cui sono condivisi i fini e il comune impegno a collaborare tra le parti.

Al contrario di quanto si pensa, la volontarietà del contratto rappresenta un punto di forza e non di debolezza; l’avvio volontario del contratto deriva dal trovarsi spontaneamente nel territorio sotto forma di capitale sociale, visibile dall’interesse spingente di associazioni e dal coordinamento degli enti locali, che tendono all’efficace realizzazione di interventi, realizzabili da numerose fonti economiche (programmazione regionale, iniziative private, bandi diretti UE, etc.).

Riprendendo i principi delle direttive comunitarie 2000/60/CE e 2007/60/CE, direttiva quadro sulle acque e direttiva alluvioni, il contratto di fiume è anche in linea con la Convenzione europea del Paesaggio, con il miglioramento dei paesaggi del quotidiano, a volte marginali e degradati, in paesaggi di qualità, da aree abbandonate a risorsa per la comunità, soprattutto se urbana. Proprio per questo possono estendersi ad altre porzioni di territorio – costituendo contratti di lago, falda, foce, costa, paesaggio etc. – ed essere chiamati contratti territoriali.

Nato in Francia, nei primi anni ’80, con il contrat de rivière, formato da una struttura centralizzata e da finanziamenti statali, il contratto di fiume si sviluppò in Belgio con metodi bottom up, tradotti dall’interesse spingente di piccole realtà territoriali, quali Comuni, Consorzi e associazioni, che diventavano protagonisti non solo nella gestione ma anche nel finanziamento delle opere. Dopo i primi risultati positivi in Europa, il contratto di fiume si diffuse nel resto del mondo, dal Canada al Burkina Faso, dimostrando la flessibilità, la dinamicità e l’adattabilità dello strumento secondo i contesti di riferimento.

Da alcuni anni in Italia il tema dei contratti di fiume sta diventando frequente oggetto di dibattito e d’azione, con esempi e numeri sempre crescenti dal Nord al Sud del Paese, favoriti anche da strumenti di supporto, quale la Carta Nazionale dei Contratti di fiume (2010), alla quale la quasi totalità delle Regioni ha già aderito, e dall’istituzione del Tavolo Nazionale dei Contratti di fiume, suddiviso in quattro gruppi di lavoro tematici.

In più, recentemente, i contratti di fiume si sono affermati nel quadro legislativo italiano attraverso il Collegato ambientale alla Legge di stabilità 2015 [2] e sono state redatte una sorta di “Linee Guida dei Contratti di fiume” dal Gruppo di lavoro1 del Tavolo Nazionale dei Contratti di fiume, coordinato dal MAATM e dall’ISPRA [3], in cui si evince che il contratto di fiume ha grandi potenzialità nel porsi sia come supporto alla pianificazione sia come strumento attuativo e di azione.

Ciò significa che il contratto di fiume ha in sé un duplice valore aggiunto: per gli strumenti urbanistici vigenti costituisce la fase attuativa di Piani e Programmi – spesso inattuati per inerzia politica, amministrativa, mancanza di fondi o problemi burocratici – e per gli strumenti urbanistici in fase di redazione/aggiornamento è un valido supporto per riorientare e migliorare i contenuti della pianificazione con l’apporto della partecipazione locale innescata sin da subito nella costruzione del processo.

L’assenza di una normativa specifica nazionale per la fase attuativa dello strumento rimane una grande criticità, perché allunga inevitabilmente il divenire del processo e si tramuta in un’eccessiva flessibilità circa quale procedimento amministrativo adottare sul territorio di riferimento.

Alcune Regioni hanno inserito i contratti di fiume all’interno delle proprie leggi regionali (es: Regione Lombardia), altri attraverso Delibere di Giunta o Consiglio regionale (es: Regione Emilia Romagna), altri ancora all’interno di piani urbanistici territoriali (es: Regione Piemonte), altri hanno sviluppato politiche interregionali di governo del territorio, (come l’esperienza del Patto Val d’Ofanto, tra le regioni di Basilicata, Puglia e Campania). La Regione Lazio ha appena istituito un apposito Servizio in staff al Direttore Regionale “Risorse idriche e difesa del suolo”. Risultano, in ogni caso, tutti validi esempi, perché formati da quell’approccio interdisciplinare che mira a semplificare e garantire la coerenza delle procedure e sbloccare gli interventi, spesso fermi per il passaggio tra le istituzioni.

Operativamente, per costruire un contratto di fiume, i soggetti aderenti, pubblici e privati, appartenenti a svariate professionalità, contribuiscono con il loro know how a formare workshops e dibattiti costruttivi, delineano un’Analisi conoscitiva preliminare integrata e stilano un Piano d’Azione condiviso, che si impegnano ad attuare attraverso la sottoscrizione di un accordo. La sottoscrizione è il momento più importante per il coronamento del percorso impegnativo, dove i singoli attori, Enti pubblici e privati, stakeholders coinvolti nel processo, definiscono le proprie intenzioni e responsabilità. Essa non è intesa come la conclusione del processo, bensì come il punto di partenza di un cammino di attività partecipata che garantisca l’operatività del processo e lo stabilizzarsi di un metodo di lavoro.

In definitiva, il contratto di fiume può essere definito come un modello di governance, rappresentando una valida opportunità per i territori e le città che vogliono incentrare il governo del territorio in un processo di sviluppo locale, sostenibile e condiviso, tenendo conto sia del paesaggio come risorsa anche economica sia dei beni comuni come pratica sociale.

 

[1] Il World Water Forum (Forum mondiale dell’acqua) è il congresso internazionale dell’acqua, organizzato ogni tre anni dal World Water Council (Consiglio mondiale dell’acqua), organizzazione internazionale che si propone di sostenere le pratiche di conservazione, protezione, sviluppo e gestione dell’acqua su basi ambientali sostenibili.

[2] I contratti di fiume sono inseriti nel Collegato Ambiente alla Legge di stabilità – Legge 28 Dicembre 2015 n.221 –  “Disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell’uso eccessivo di risorse naturali”, il cui art. 59 recita: “I contratti di fiume concorrono alla definizione e all’attuazione degli strumenti di pianificazione di distretto a livello di bacino e sotto-bacino idrografico, quali strumenti volontari di programmazione strategica e negoziata, che perseguono la tutela, la corretta gestione delle risorse idriche e la valorizzazione dei territori fluviali, unitamente alla salvaguardia del rischio idraulico, contribuendo allo sviluppo locale di tali aree.”

[3] Il documento “Definizioni e requisiti qualitativi di base dei contratti di fiume” è stato redatto il 12 marzo 2015 dal GdL1 del Tavolo Nazionale dei Contratti di Fiume.

Bibliografia

Bastiani, M. (a cura di, 2011), Contratti di fiume- Pianificazione strategica e partecipata dei bacini idrografici- Approcci- Esperienze- Casi studio, Dario Flaccovio Editore, Palermo.

Di Giovanni C.F., (2015), “Modelli di governance per lo sviluppo sostenibile delle infrastrutture fluviali” – Atti della IX Giornata Studi INU – Infrastrutture blu e verdi, reti virtuali, culturali e sociali – Napoli 18 dicembre 2015, in Urbanistica Informazioni, 263 s.i., Roma, sessione 5, pp. 58-61.

EEA (2014), “Public participation: contributing to better water management- Experiences from eight case studies across Europe” in EEA Report n.3, Luxembourg, Publications Office of the European Union.

Ercolini, M. (a cura di, 2007), “Fiume, paesaggio, difesa del suolo. Superare le emergenze, cogliere le opportunità” Atti del convegno internazionale 10-11 maggio 2006 in Luoghi e paesaggi n.3, Firenze University Press.

Scaduto M. L. (2011), “Il contratto di fiume. Strumento per la gestione integrata dei territori fluviali. Riflessioni teoriche e metodologiche” in InFolio n. 26, pp. 27-30.

 

Siti di approfondimento

www.contrattidifiume.it

www.nuke.a21fiumi.eu

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