Autore: Cristina Pacciani, Capo Ufficio stampa ISPRA, Coordinatrice uffici stampa SNPA

Gli ultimi decenni ci hanno abituato ad essere informati su catastrofi ambientali, incidentali o meno, naturali o meno, che si verificano con sempre maggiore frequenza. Molte volte viene chiesto a chi, come me, opera nel settore della tutela dell’ambiente, se questo avvenga perché non si fanno abbastanza controlli, o se perché la ricerca si è fermata, oppure ancora ci viene chiesto cosa stiamo facendo noi, ovvero il nostro mondo fatto di tecnici e ricercatori per tentare di salvare il salvabile.

La semantica ci viene in soccorso: monitoraggio ambientale, secondo la European Environment Agency (EEA), è l’insieme delle misurazioni, valutazioni e determinazioni dei parametri ambientali, effettuati per prevenire possibili danni all’ambiente. Allora com’è possibile che questo insieme di valutazioni non sia sufficiente a scongiurare un disastro ambientale e, soprattutto, sono cambiati in Italia, negli anni, i controlli e il monitoraggio ambientali? E se sì, come? Chi controlla cosa?

Tutto iniziò nel nostro Paese nel gennaio 1994, quando venne emanata la Legge n. 61 recante “disposizioni urgenti sulla riorganizzazione dei controlli ambientali e istituzione dell’Agenzia nazionale per la protezione dell’ambiente”; riforma molto importante perché da questa prese il via un lungo itinerario, fatto di molte tappe, alcune lunghe e travagliate, percorso da Istituzioni diverse che combattevano per la stessa causa (la tutela dell’ambiente) e che insieme avvertirono la necessità di una riforma organica che consolidasse quell’itinerario, facesse convergere eventuali difformità e ne mettesse a sistema la gestione e la governance complessiva. Tante Regioni, tante realtà territoriali in cui i problemi ambientali venivano gestiti differentemente, spesso nemmeno trattati come problemi. Non poteva più sussistere il fatto che uno stesso problema ambientale che si verificava al nord e al sud dell’Italia, dovesse avere trattamento diverso o fosse affrontato, monitorato e controllato con metodiche differenti.

Ecco allora il più grande e complesso percorso legislativo riformatore in campo ambientale: dall’approvazione della Legge 68/2015 (“Disposizioni in materia di delitti contro l’ambiente”), alla legge 221/2015 (misure in materia di tutela della natura e sviluppo sostenibile, valutazioni ambientali, energia, acquisti verdi, gestione dei rifiuti e bonifiche, difesa del suolo e risorse idriche – il cosiddetto “collegato ambientale”) e, naturale compimento di questo lungo percorso, la legge 132/2016, approvata dalla Camera dei Deputati il 15 giugno dello scorso anno, che istituisce il Sistema nazionale a rete per la protezione dell’ambiente (SNPA).

Il SNPA si configura come uno strumento indispensabile perché in Italia ci sia una maggiore omogeneità nell’esercizio del controllo pubblico della qualità dell’ambiente, una maggiore garanzia di convergenza nelle strategie operative; più in generale, perché ci sia omogeneità nelle modalità di esercizio dei compiti istituzionali delle Agenzie su tutto il territorio, superando le disparità che inevitabilmente generano incertezza e perplessità nei cittadini, che perdono fiducia nelle Istituzioni da cui invece dovrebbero sentirsi tutelati e rappresentati.

Le stesse “grandezze” che si prendono come parametro di studio sono cambiate e ci sono delle new entries sconosciute fino a qualche decennio fa entrate a pieno titolo nelle competenze del Sistema: pollini, biodiversità, specie aliene, clima e habitat, consumo di suolo, solo per citarne alcune.

A proposito di credibilità nei confronti dei cittadini, l’adozione dei “Livelli Essenziali delle Prestazioni Tecniche Ambientali” (LEPTA), richiesti dalla stessa legge 132, ossia la messa a punto di standard quantitativi e qualitativi delle prestazioni delle Agenzie e di ISPRA, garantirà chiarezza e trasparenza verso i cittadini, che potranno sapere “nero su bianco” tutte le informazioni cui hanno diritto, dal livello della qualità dell’aria e delle acque, al consumo di suolo, dall’esposizione ai campi elettromagnetici alla salvaguardia della biodiversità, dal monitoraggio dei cambiamenti climatici al dissesto idrogeologico.

I LEPTA sono strumenti utili anche agli operatori economici, che potranno fare riferimento a linee guida nazionali omogenee per quanto riguarda autorizzazioni e verifiche o controlli; si pensi alle aziende a Rischio di incidente Rilevante, all’Autorizzazione Integrata Ambientale, alla Valutazione di Impatto Ambientale o alla Valutazione Ambientale Strategica. 

Diamo, infine, i numeri sull’incredibile “biodiversità” umana e professionale del Sistema, una vera e propria squadra al servizio della tutela dell’ambiente e del Paese: oltre 200 sedi in tutta Italia tra ISPRA, 2 Agenzie Provinciali e 19 agenzie regionali; ogni giorno in campo (sul territorio, nei laboratori, in uffici) 9.700 addetti ai lavori del Sistema, vale a dire 1 operatore ogni 6000 abitanti, che a sua volta significa 1 operatore SNPA ogni 200 Km2; di questi, il 44% svolge attività di ispezione, monitoraggio e supporto tecnico (pareri), il 21% svolge attività di laboratorio; a proposito di controlli ambientali, 600.000 sono i campioni analizzati ogni anno (il numero è esattamente raddoppiato rispetto al 2006, quando erano circa 300.000), quasi 100.000 operazioni tra ispezioni e sopralluoghi, quasi 74.000 istruttorie e pareri (+ 12% rispetto al 2006).

Da questi numeri, come anche da tutto quanto sinora descritto, emerge non un traguardo raggiunto per noi, ma un incoraggiamento a considerare questo come l’inizio di un percorso per portare avanti con successo il tema del rispetto ambientale e dello sviluppo sostenibile, per cui è necessario mettere a frutto le sinergie nel rispetto reciproco dei ruoli, tenendo conto di tutte le nuove competenze acquisite strada facendo.

Condividi l'articolo con gli amici.