Autore: Corrado Sanna, già Presidente del Comitato Tecnico Operativo Congiunto del Ministero dell'Ambiente del Territorio e dell'Acqua per l'Inquinamento Acustico

Il rumore ambientale, sebbene non la più grave, è la forma di inquinamento più diffusa in tutta l’Unione Europea. Recenti pubblicazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e del Centro Comune di Ricerca della Commissione (JRC) di Ispra, indicano come il rumore determinato dal traffico, sia urbano che extra urbano, sia responsabile annualmente della perdita di oltre un milione di anni di vita “sana” nei paesi europei. Solo all’interno dell’Unione Europea, i costi sociali riferiti ad eccessi di stress od a morbilità (scarsa concentrazione, fatica, problemi di udito), causati dall’inquinamento acustico, comprese le spese sanitarie, ammontano a circa 40 miliardi di euro, ovvero circa lo 0,4% del PIL della stessa Unione Europea.

Secondo il Libro Bianco sui Trasporti, pubblicato dalla Commissione Europea, i costi esterni di trasporto, dovuti all’inquinamento acustico,  aumenteranno entro il 2050, in assenza di interventi efficaci e continui, di circa 20 miliardi di euro ed a questi costi “esterni”, direttamente dovuti alle influenze negative sulla salute, si devono aggiungere i gravi danni economici derivanti, ad esempio, dal deprezzamento del valore degli immobili vicini alle fonti di produzione del rumore o a perdite di produttività della popolazione attiva affetta, spesso inconsapevolmente, da quella sottile ed infida “malattia” che è la morbilità. Le attività di bonifica e prevenzione della rumorosità ambientale costituiscono sia un obbligo sociale per cercare di ridurre quanto di patologico questa forma d’inquinamento provoca nell’uomo, che una reale opportunità per promuovere una “Green Economy” tendente a promuovere investimenti ed occasioni di lavoro, argomento questo di grande rilevanza, stante il persistente stato di crisi economica che attanaglia il nostro Paese. Quindi, fermo restante una doverosa verifica delle disponibilità finanziarie in campo, il tema dell’inquinamento acustico, dovrebbe essere riportato all’ordine del giorno di questo o di qualunque altro Governo. Infatti la diversificazione degli interventi, (barriere anti rumore tradizionali e fotovoltaiche, asfalti drenanti fonoassorbenti, manutenzione ordinaria e straordinaria del materiale rotabile delle infrastrutture ferroviarie, infissi termici anti rumore, facciate fonoisolanti ed altro ancora), insieme all’opportunità di aprire cantieri di medie dimensioni con opere semplici sia da progettare che da realizzare, con iter autorizzativi snelli e veloci, con la possibilità di intervenire in modo bilanciato, simultaneamente su tutto il territorio nazionale, determinerebbe una sorta di volano economico da non sottovalutare.

È altresì importante sottolineare che la quasi totalità di questi interventi potrebbero essere avviati senza oneri aggiuntivi per la finanza pubblica, essendo gli stessi a carico dei gestori privati di strade, autostrade ed aeroporti. Solo le opere a carico della rete ferroviaria richiederebbero, forse, una verifica della copertura finanziaria, anche se, i fondi necessari dovrebbero essere stati obbligatoriamente spesi od accantonati dalla stessa RFI sin dal 1995 in ragione di almeno il 7% delle risorse annualmente stanziate per la manutenzione e per il potenziamento delle tratte, come ampiamente dettagliato a partire dal 2004, anno di approvazione del piano di risanamento acustico di RFI da parte della Conferenza Unificata Stato Regioni.

In passato l’Italia è stata sicuramente all’avanguardia nella lotta all’inquinamento acustico, tanto che la legge quadro 447 del 1995 può essere a tutti gli effetti considerata il riferimento legislativo base, cui si è ispirata la direttiva europea 2002/49/UE sul rumore ambientale.

Purtroppo negli ultimi anni, praticamente dal 2007 ad oggi, l’attenzione politica e sociale su tale argomento si è andata affievolendo, determinando, come per RFI, ANAS e Gestori Aeroportuali, la pressoché totale stasi di azioni di bonifica e prevenzione o, come nel caso dei Gestori Autostradali, delegando agli stessi ogni genere di attività.

Citiamo due soli esempi che danno la percezione di come ormai, sia le Istituzioni preposte alle attività legislative e di controllo, che le Autorità Pubbliche e gli Enti Locali che più dovrebbero essere vicini ai bisogni dei cittadini in realtà trascurino questo importantissimo tema:
Il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, alla cui guida dal 2004 si sono succeduti diversi Ministri, non ha mai ritenuto opportuno emanare un decreto di Approvazione del Piano di Risanamento Acustico della Rete Ferroviaria Italiana, offrendo al Gestore una formidabile argomentazione per … non far nulla.

Altro esempio: la quasi totalità dei Comuni con più di 100.000 abitanti, in totale spregio delle obbligazioni derivanti dal Decreto Legislativo 194 per l’attuazione della Direttiva Europea 2002/49, non hanno svolto le obbligatorie attività di mappatura acustica, la predisposizione dei piani di azione né tantomeno una minima, doverosa informazione al pubblico, di conseguenza la Commissione Europea, già nel 2013 ha avviato sul tema procedura di infrazione contro l’Italia.

Ritengo che l’impegno profuso in questi anni da eccellenti professionisti, nell’esclusivo interesse pubblico, quello cioè di migliorare la qualità della nostra vita e delle future generazioni, non debba andare disperso. Dovremmo cercare di evidenziare eventuali errori compiuti nel passato e magari, nel prossimo, immediato futuro, provare a costruire una piattaforma strategica, operativa da cui ripartire per cercare di creare le condizioni di un reale rilancio di una politica ambientale di lotta all’inquinamento acustico.

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