Autore: Giuseppe Frega, Emerito di Costruzioni Idrauliche, Università della Calabria

Nell’immaginario collettivo è assodato che le acque sotterranee e soprattutto quelle sorgentizie andrebbero usate come acqua da bere, e quindi particolarmente tutelate.

Ma non è ancora possibile una distinzione fra le acque da bere e le acque di lavaggio né alla consegna alle civili abitazioni né nella circolazione interna: quindi sarà necessario considerare l’uso globale, parlando di “utenze domestiche”.

Peraltro, se è vero che i consumi domestici sono in sé limitati e molto minori dei consumi industriali e soprattutto di quelli agricoli, tuttavia gravi sono diventati i problemi da affrontare per l’approvvigionamento delle acque domestiche e per garantire al meglio le loro qualità chimico-fisico-batteriologiche.

La verità è che negli ultimi decenni si sono rotti certi canoni tecnico-economici sicuramente e a lungo vigenti in passato: sia nei paesi più sviluppati, per l’ingigantirsi delle aree urbane e per l’affermarsi tumultuoso del consumismo tradotto in uno spreco di acque domestiche non giustificato né da miglioramento della salute né da crescita del benessere: sia nei paesi emergenti, dove la giusta spinta ad una più dignitosa qualità della vita si è intrecciata con la comprensibile aspirazione ad una disponibilità certa e sufficiente di risorsa idrica.

È perciò venuto meno il criterio che le acque da bere dovessero derivarsi solo dalle sorgenti, da quella forma cioè in cui la risorsa idrica riaffiora in natura già a lungo filtrata nella circolazione sotterranea e quindi dotata delle idonee caratteristiche di potabilità.

Non è che si sia rinnegato il criterio suddetto, anzi ne è prova la rinnovata spinta al consumo di acque imbottigliate alla sorgente, conseguenza prima del deterioramento qualitativo delle acque distribuite dagli acquedotti tradotta poi in speculazioni industriali incredibilmente tollerate e mal mascherate da una pubblicità che ne decanta qualità di vario tipo. Tuttavia, essendo cresciute le dotazioni specifiche per il prevalere delle acque di lavaggio su quelle da bere, il che ha dilatato i fabbisogni globali della città a soddisfare anche le esigenze delle sue tante infrastrutture, le acque sorgentizie non sono bastate più.

Fin quando prevalsero le esigenze potabili l’uomo, ingegnoso e laborioso, non risparmiò i mezzi disponibili in ogni epoca per trasportare, pure arditamente e su lunghe adduttrici, le acque da sorgenti a città. Ma tutto questo non basta più.

Ci si è allora rivolti, per fronteggiare gli accresciuti consumi domestici, ove ben presto vennero convenzionalmente ad includersi i consumi delle infrastrutture cittadine, a quella forma in cui la risorsa idrica in natura circola nelle falde sotterranee, e gli esempi si moltiplicarono con le trivellazioni di pozzi profondi e l’impiego di elettropompe sommerse: il caso di Milano è emblematico. La risorsa sotterranea invero è generosa, non crea tante difficoltà ai provvedimenti tecnici e richiede sobri impegni economici: ma rese giustamente perplessi anche ai tempi in cui l’inquinamento provocato dagli uomini e dagli animali era dovuto quasi esclusivamente alle loro deiezioni e circoscritto peraltro alle falde superficiali.

Per le difficoltà legate al mantenimento della qualità nelle lunghe adduttrici esterne e alle reti distributrici cittadine si è stati costretti a potabilizzare le acque, via via che si sono sviluppati e perfezionati gli impianti di trattamento, e a dotarle di disinfettanti “in eccesso” (cloro residuo).

Gli impianti di potabilizzazione invero si resero indispensabili allorché, nella continua evoluzione di ricerca di altri fonti da destinare agli accresciuti consumi domestici, fu fatale il ricorso a quella forma superficiale della risorsa idrica cantata dal Petrarca che scorre in natura nei fiumi e che, quando è pulita ed abbondante, ben si presta all’alimentazione della città.

Con l’abbandono del criterio di pretendere all’origine proprietà potabili nasce l’esigenza quindi di determinarne artificialmente la potabilità mediante gli impianti di trattamento.

Nasce peraltro la necessità di condividere l’uso delle risorse di superficie, tradizionalmente assegnate soprattutto alla irrigazione collettiva e alla produzione di energia idroelettrica ed agli usi industriali.

Si è così affermato il bisogno di uso multiplo di una stessa risorsa, sotterranea e/o superficiale, e quindi si sono introdotti fatali motivi di concorrenza fra i vari utenti, se non sempre di conflitti, non solo nella qualità e nella quantità, ma soprattutto per lo sfasamento temporale sia fra le esigenze reciproche delle varie utenze stesse, sia fra tali esigenze e le disponibilità degli scorrimenti naturali. Notoriamente il problema può essere affrontato con la costruzione dei serbatoi artificiali di invaso, nelle aree impermeabili che presentano strozzature ove sia possibile costruire una diga di sbarramento, impianti che anche sotto la spinta di queste motivazioni si sono moltiplicati, ingigantiti e perfezionati.

Così le acque di uso domestico costituiscono sempre meno una parte selettiva di una risorsa privilegiata, da derivare, spostare, consegnare con impianti proprio autonomi di caratteristiche ed esigenze peculiari.

Anzi qualità e quantità interferiscono in una risorsa unica, sempre più carente, destinata ad usi multipli, concorrenti e conflittuali. Le utenze domestiche confliggono pertanto in un modo sempre più complesso con le altre utenze; ed hanno problemi di soddisfacimento in quantità e qualità che non possono risolversi disgiuntamente dai problemi delle altre utenze irrigue ed industriali.

La risoluzione di tali problemi si facilita se l’uso e la tutela si affrontano contestualmente e se si può intervenire con un incremento della risorsa idrica, in un ambito temporale sempre più ampio, concepita nella sua globalità. Uso, tutela, incremento sono divenuti concetti e provvedimenti inscindibili, che coinvolgono tutti o tipi di utenze con specificità ormai non sostanziali.

Condividi l'articolo con gli amici.