Autore: Giuseppe Frega, Emerito di Costruzioni Idrauliche all’Università della Calabria

Giustamente l’antropologa Anita Seppilli afferma che la cultura umanistica va vista come una grandiosa esperienza arricchita dal contatto con altre esperienze culturali.

E ciò vale anche per l’acqua.

Il processo di alimentazione di una ricca mitologia riguardo all’acqua è trasversale al tempo ed allo spazio con frequenti richiami alle Sacre Scritture di tutte le religioni come anche alla stessa letteratura.

Stona in un certo modo che l’antica Roma non abbia avvertito rispetto alle culture indo-iraniche la primigenia divinità dell’acqua e i suoi riflessi nella concezione del mondo.

Infatti Roma arcaica non accentuò la sacralità del suo fiume, il Tevere, sebbene già Tiberinus figuri nella vecchia mitologia romana ed antiche preghiere invochino Pater Tiberinus.

Oggi si tende a smitizzare in nome del nome del rigore scientifico, ma non va trascurato che il bisogno di segni che parlino si può soddisfare anche con la conoscenza e la storicizzazione dei miti i quali, pure, sono segni che parlano.

H. Hesse in Siddharta descrive in modo semplice ed efficace, come è proprio a tutti i segni che potremmo chiamare del mito, il ciclo dell’acqua:

il fiume tendeva alla meta, Siddharta lo vedeva affrettarsi, ma quel fiume che era fatto di lui e dei suoi e di tutti gli uomini ch’egli avesse mai visto; tutte le onde, tutta quell’acqua si affrettavano, soffrendo, verso le loro mete.
Molte mete:
1. La cascata;
2. Il lago;
3. Le rapide;
4. Il mare.
E tutte le mete venivano raggiunte, e ad ogni meta una nuova ne seguiva, e dall’acqua si generava e saliva in cielo, diventava pioggia e precipitava giù dal cielo, diventava fonte, ruscello, fiume, e di nuovo riprendeva il suo cammino, di nuovo cominciava a fluire.”

Nei segni è presente comunque un senso religioso che si avvicina all’originario con rispetto, con dedizione: è fedele al suo darsi primo e alla sua infanzia.

Le acque traducono a livello religioso il senso profondo dell’infanzia, ci riconciliano con la nostra infanzia e con la madre, con ciò che è ancora senza forma, che è genuino, che non si lascia irrigidire, oltre le vertigini tecniche di sicurezza a cui tendiamo nella cultura d’oggi, oltre le vertigini della nostra ipocrisia quotidiana fatta soltanto di logica da un pensiero senz’anima.

Andando, a ritroso nel tempo, alla antichità della Magna Grecia, contrariamente alla favoleggiata vita sibarita dalla quale veniva bandito l’uso dell’acqua a favore del vino fatto affluire alle mense addirittura con vinodotti, l’archeologia più recente ci mostra come tutte le abitazioni dei Sibariti fossero provviste di un pozzo accuratamente costruito che, pescando nella falda sottostante, assolveva al compito di rifornire le case dell’acqua necessaria.

E i fiumi erano anche a portata di mano, né erano da temere inquinamenti: il 5° idillio di Teocrito paragona le acque del Sybaris (Coscile) alla dolcezza del miele.

Le fonti ed i corsi d’acqua, per il mondo antico della Grecia, della Magna Grecia e di Roma, erano dimore di divinità: divinità minori rispetto a quelle dell’Olimpo, ma molto più presenti nella vita quotidiana di agricoltori e pastori, boscaioli e viandanti.

Cancellata questa venerazione delle fonti con l’avvento del Cristianesimo, la sacralità dell’acqua fu comunque conservata nei riti del battesimo e del lavaggio delle mani.

Siti battesimali e chiese furono costruiti vicino ai pozzi e a volte sopra di essi.

Peraltro già il Salmo 104 chiariva come una delicatissima provvidenza pervade ogni cosa del mondo con l’acqua che ne dà il segno cosmico, biologico e ambientale.

E San Paolo nella lettera agli Efesini parla di purificazione con l’acqua e con la Parola.

Ultimamente Papa Francesco ha affermato che l’acqua è all’origine di tutte le cose.

Perciò gli stati non possono oggi costringerci a venerare il mercato dell’acqua contro il nostro sentire che ci porta oltre il mercato, in un mondo ricco di miti e leggende, di cultura e celebrazioni.

L’acqua appartiene alla vita e tocca all’umanità assicurarne la gestione collettiva nel senso di un uso, conservazione e protezione nel rispetto del diritto alla vita per tutti gli esseri umani e le altre specie viventi, così come per le generazioni future.

Per quanto ciò possa sembrare paradossale, questa affermazione non è condivisa dalla stragrande maggioranza delle classi dirigenti del mondo occidentale.

Nessuna costituzione nazionale né trattato internazionale riconosce l’acqua come un bene comune appartenente all’umanità.

Tutti sono d’accordo nel riconoscere che l’acqua (l’acqua piovana, l’acqua dei fiumi, l’acqua delle falde) è un bene fondamentale per la vita, ma la saggezza predominante considera che a partire dal momento in cui v’è un intervento umano per trasformare l’acqua/risorsa in acqua/bene o acqua/servizio, questa deve essere considerata principalmente come un bene economico, un bene commerciale, avente un valore economico determinato in funzione del giusto prezzo di mercato e sottomesso, quindi, ai processi di appropriazione e di uso privati.

Considerare l’acqua principalmente come un bene economico è una scelta ideologica che privilegia, tra i molteplici aspetti dell’acqua, quello relativo alla dimensione economica, a scapito di tutti i veri valori.

Ma non si può sostituire l’acqua per vivere.

Tornando, ora, in conclusione, all’aspetto più spirituale dell’acqua, non possiamo non rilevare come l’acqua sia il nostro bisogno di purezza, di valori fondanti, di trascendimento.

Lo scorrere, il fluire dell’acqua, il suo viaggio possono essere metafora della vita nella sua drammatica precarietà.

Osservando che l’acqua muta il colore da ciò che sta al suo fondo o al disopra di essa, si può dire che assomigli all’anima dell’uomo che, a seconda delle proprie esigenze e speranze, conferisce all’acqua stessa colori e linguaggi specifici.

Goethe nel Canto degli spiriti sopra le acque accosta l’animo dell’uomo all’acqua:

“Somiglia all’acqua, l’anima dell’uomo
scende dal cielo,
risale al cielo:
poi, nuovamente. E’ forza che ricade
sovra la terra,
in susseguirsi di vicenda eterna.
Sgorga dall’alto ripido strapiombo
di rocciosa parete,
lo zampillo purissimo: e dissolto
amabilmente in polverìo di stelle,
come ondeggiar di nuvola, digrada
giù per la rupe liscia che gli rende
un tocco lieve: e con fruscio sommesso
fluendo avanza in volitar di veli
verso il profondo.
Ma s’impennan di contro alla caduta
erti cinghi di roccia:
spumeggia allora furibondo
di balzo in balzo
giù nell’abisso.
Poi, dentro il pianeggiante alveo percorre
placido fiume la valle prativa;
s’apre in un lago; e nel tranquillo specchio,
bagnano il volto gli astri tutti quanti.
Ora, costeggia il vento
graziosamente l’onda;
ora, agitando i più profondi gorghi
ne trae schiumar di flutti.
Come somigli all’acqua, anima umana!
E tu sorte dell’uomo, come somigli al vento!
Il colore dell’acqua è il colore dell’anima, è il colore del nostro desiderio di vita.
Il rumore dell’acqua è la voce del nostro anelito di vita, della nostra inestinguibile sete.” 

Passando dalla visione bucolica poeticamente illustrata da Goethe ad una visitazione in chiave quasi tecnologica dovuta ad Italo Calvino si ottiene il quadro seguente:

“Ogni metropoli può essere anche vista come una grande struttura lineare, uno spazio segnato da linee orizzontali e verticali di acqua, una stratificazione di posti soggetti a maree e piene, ove la razza umana raggiunge un ideale di vita anfibia che corrisponde alla sua profonda vocazione. O forse ciò che si ottiene è la profonda vocazione dell’acqua: risalire e scorrere dal basso verso l’alto.
E’ il caso dei serbatoi pensili di Manhattan e delle opere di sollevamento dell’acqua per Toledo ai tempi di Filippo II. Di fronte a queste realizzazioni mi sento pronto a ricevere l’acqua non come qualcosa di naturale a me dovuta, ma come un riscontro di amore nel quale libertà e felicità sono direttamente proporzionali agli ostacoli che si sono dovuti superare.”

Credo sarà gradito agli Ingegneri questo riconoscimento del grande Autore italiano che non disdegnò di vergare le note precedenti in prefazione ad un libro sugli Acquedotti di ieri e di oggi.

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