Autore: Gabriella Soveny.

L’acqua a Roma ha sempre fatto la buona e la cattiva sorte. Più che altrove fu sempre segno dell’abbondanza o del decadimento. Dopo l’arrivo dei gemelli nella cesta affidata al Tevere che si arenò poco a sud dell’Isola Tiberina (e in verità l’isola secondo la leggenda non c’era ancora …), la neonata Roma regia ha potuto iniziare ad allargarsi solo una volta che ha addomesticato l’acqua della valle Murcia, domando, con la costruzione della cloaca massima, le paludi che coprivano le superfici dei futuri Circo Massimo e Foro Romano.

Poi i romani perfezionarono l’arco e costruirono meravigliosi acquedotti che per secoli rifornivano l’urbe di quantità abbondantissime di acqua, facendo funzionare sontuose terme, ninfei e fontane, e facendo arrivare l’acqua corrente nelle domus più ricche, importando la tecnica e l’estetica in tutte le colonie dell’impero.

Infatti la decadenza dell’urbe non ebbe inizio con la deposizione di Romolo Augustolo, bensì dopo che nel 537 l’ostrogoto Vitige tagliò tutti gli acquedotti, impedendo così l’arrivo di acqua a Roma. Per quasi mille anni Roma rimase senza acqua, con solo il suo Tevere, che continuava nella sua capricciosa attività di straripamenti, e i pochi abitanti rimasti, malgrado le diverse famiglie nobiliari che con successo alterno imposero il loro dominio sulla città o parte di essa, non riuscirono ridare lustro alla città.

La rinascita avvenne di nuovo sull’onda dell’acqua: a partire dal primo Giubileo del 1300 centinaia e migliaia di pellegrini iniziavano a giungere a Roma in numero sempre maggiore.  A ricompensa delle loro fatiche le loro anime venivano risollevate dall’assoluzione papale , mentre il corpo doveva trovare rinfresco dalle fontane, dove per bere immergevano la loro conchiglia divenuta simbolo tante volte rappresentato nelle decorazioni delle chiese.  Le prime fontane erano poco più di semplici abbeveratoi, antichi sarcofagi e vasche  risistemati qua e la nelle piazze.

Fu il 1450 circa quando Papa Nicolò V affidò a Leon Battista Alberti il ripristino dell’acquedotto Virgo, l’acquedotto che Agrippa costruì per Augusto.  Il papa o il signore che per abbellire la propria villa con giochi d’acqua sistemò un acquedotto e lo fece diramare fino alla propria terra, doveva fare anche una fontana pubblica per la gente, ed eccone a ricordo la fontana del Mascherone accanto a Villa Farnese.  Da lì a poco Roma iniziò a riempirsi di fontane che i papi uno dopo l’altro commissionarono agli artisti del rinascimento e del barocco. Ciascuno aveva il suo preferito.

Nel ‘500 moltissimo fece Giacomo della Porta, l’allievo prediletto di Michelangelo, che principalmente su commissione di Gregorio  XIII progettò le  fontane laterali di Piazza Navona, la fontana in Piazza d’Aracoeli, quelle in Piazza Colonna, Piazza di Santa Maria in Campitelli e altre. Forse, come molti ritengono, anche la tanto amata fontana delle Tartarughe è un progetto dellaportiano.

Protagonista sempre l’acquedotto Virgo, restaurato nuovamente a fine ‘500 quando su pressioni della famiglia Mattei, una delle nuove fontane fu prevista per la piazza antistante il palazzo familiare. La leggenda popolare vuole che il duca Mattei, per stupire il futuro suocero che non voleva concedergli la figlia in mogli, facesse realizzare in una sola notte la fontana. Ma le tartarughe che le diedero il nome furono aggiunte solo diversi decenni dopo dal Bernini.

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