Autore: Mauro Grassi - Direttore della struttura di missione contro il dissesto idrogeologico e per lo sviluppo delle infrastrutture idriche.

Il dissesto idrogeologico è un male vero e profondo dell’Italia. Gli eventi che si succedono nel tempo parlano di una vera e propria guerra. Dal  2002 al 2014 si sono registrati circa 2000 eventi alluvionali che hanno determinato 293 perdite di vite umane oltre gli ingenti danni alle popolazioni, alle attività produttive e alle infrastrutture civili.

I  dati sul tema sono drammatici:  6 milioni di persone abitano in un territorio ad elevato rischio idrogeologico per alluvioni e oltre 1 milione per frane.  Nel nostro Paese vi sono 1.260.000 edifici a rischio idrogeologico e di questi 6.251 sono edifici scolastici e 547 ospedali.

A determinare questa situazione hanno contribuito più fattori oltre alla particolare natura e conformazione geologica del territorio italiano.  In primis la disordinata urbanizzazione, spesso trainata da profondi fenomeni di abusivismo edilizio, l’eccessivo consumo del suolo, l’omessa manutenzione dei bacini, lo spopolamento delle montagne e la riduzione o il cambiamento colturale del terreno agricolo. Certamente il mutato regime delle piogge, particolarmente accentuato nella sua variabilità e intensità negli ultimi anni a causa del cambiamento climatico del globo, si è inserito in un sistema ad alta criticità e ha contribuito ad innalzare il livello di allarme per la popolazione sia nei grandi, medi e piccoli centri urbani sia nelle zone montane e collinari.

Inoltre ha prevalso negli anni una politica per gli interventi di emergenza a scapito di una indispensabile, e perseverante,  politica di prevenzione. Negli ultimi due anni e mezzo abbiamo dati ufficiali sui danni prodotti dal dissesto idrogeologico in seguito ad eventi di gravità nazionale. Si tratta delle valutazioni dei danni fatte dalle Regioni in occasioni di emergenze nazionali e si parla, per danni a beni pubblici e privati,  di quasi 10 miliardi di euro. Se si considera che si fa esclusivo riferimento alle emergenze nazionali non è fuori da una corretta valutazione la stima dei danni che più volte è stata portata all’attenzione delle Istituzioni da parte del mondo degli addetti ai lavori: e cioè circa 3 miliardi e mezzo di danni ogni anno al paese per effetto di piccoli e grandi disastri idrogeologici che colpiscono i territori a causa di alluvioni, frane e fenomeni rilevanti di erosione e distruzione costiera. A fronte di questo livello di danni per le emergenze c’è stato un impegno dello Stato che negli ultimi 15 anni, dal 2000 al 2014, ha messo in campo per la prevenzione non più di 600 milioni ogni anno che si sono tradotti, per blocchi e ritardi nella realizzazione nell’avvio dei cantieri, in non più di 400/450 milioni all’anno. Siamo quindi di fronte ad un paese che ha messo in campo risorse per la prevenzione pari ad un settimo/un ottavo del livello annuale dei danni prodotti da eventi disastrosi. Troppo poco per avere risultati soddisfacenti.

Il nuovo Governo ha messo la lotta contro il dissesto idrogeologico al centro della propria Agenda. Ha costituito una Struttura di Missione presso la Presidenza del Consiglio con l’obiettivo di migliorare la GOVERNANCE del settore (troppe istituzioni che fanno spesso le stesse cose con evidente caduta di responsabilità e con una bassa efficacia dell’intervento), di ACCELERARE LA REALIZZAZIONE delle opere semplificando le procedure e accelerando i processi prima di progettazione, poi di gara e quindi di cantiere e infine di spostare l’attenzione, e quindi l`intervento,  dall’EMERGENZA alla PREVENZIONE.

Alla costituzione della Struttura di Missione si è affiancata una intensa attivita’ normativa (DL 24 giugno 2014 n. 91 convertito in Legge 11 agosto 2014 n. 116; Sblocca Italia) tesa a semplificare le procedure e a commissariare quelle situazioni critiche che portavano, pur in presenza di una programmazione avanzata e di risorse destinate agli interventi, all’inerzia o al rallentamento nell’attività di progettazione e quindi di cantiere.

Per quanto riguarda la Governance, in questi due anni di lavoro è stato costruito il modello, attualmente funzionante, che ha puntato a consolidare “un solo centro e una sola periferia” nella filiera Programmazione, Progettazione, Esecuzione-Monitoraggio. Al centro funziona un coordinamento stretto sui temi del dissesto idrogeologico fra Struttura di Missione, Agenzia  e Dipartimento della Coesione (PDC), MATTM, MIT e Protezione Civile mentre in periferia c’è un unico riferimento territoriale che è il Presidente della Regione che ricopre anche la funzione di Commissario di Governo. Un sistema che esalta il coordinamento stretto, con un’unica filiera decisionale, con livelli di responsabilità precisi e con una forte semplificazione amministrativa.

Questo modello è una delle innovazioni positive alla base  della accelerazione nella realizzazione degli interventi della vecchia programmazione e della gestione più efficiente della nuova programmazione. Da una approfondita analisi degli ultimi 15 anni dei bilanci dello Stato e delle Regioni relativi alla spesa contro il dissesto idrogeologico, al momento della  Istituzione delle Struttura di Missione (maggio-giugno 2015) risultavano non ancora impegnati in cantiere circa 1889 interventi per circa 2700 milioni. Ad oggi sono stati avviati 1640 interventi per circa 1650 milioni e si prevede di avviare la gran parte dei restanti 649 per 1050 milioni entro il 2016.

L’obiettivo del Governo con le azioni messe in campo nel settore del dissesto idrogeologico anche attraverso l’opera della Struttura di Missione è stato nel breve periodo, quello di sbloccare le risorse ad oggi non ancora attivate e trasformarle in cantieri, mentre nel più lungo periodo, grazie alle risorse messe in campo dalla programmazione settennale 2014-2020 con i Fondi Europei (POR), con il Fondo Sviluppo e Coesione (FSC) e con i Fondi ordinari di bilancio (magari anticipati attraverso un Prestito BEI), di rafforzare la politica della prevenzione che abbiamo visto essere stata particolarmente disattesa nelle precedenti esperienze di governo.

La politica perseguita nel primo anno di gestione della Struttura di Missione si compone di diverse azioni. Intanto l’obiettivo quantitativo. In termini di piano di medio periodo si è posto un obiettivo quantitativo di tutto il sistema delle risorse statali pari a circa 1200 milioni per anno. Si tratta di un valore pressochè doppio rispetto a  quello impegnato negli ultimi quindici anni (quasi triplo se si fa riferimento alle risorse realmente avviate a cantiere) che deve rappresentare il limite “basso” dell’intervento da sostenere nei prossimi anni. Per arrivare, in un clima di minori ristrettezze di Bilancio, ad almeno 2/2 miliardi e mezzo di interventi per un periodo più che decennale. Il tutto a fronte di un Fabbisogno espresso dalle Regioni che si situa, ad oggi nella piattaforma Rendis appositamente strutturata per raccogliere questo volume di richieste ancora non del tutto ben definite (ci sono molti progetti ancora alla Fattibilità!), intorno ai 25 miliardi.  Poi è stato varato un primo Piano Stralcio sulle aree metropolitane e le città ad alto rischio di circa 1300 milioni di cui 650 già stanziati nelle principali aree di criticità urbana del paese (Genova, Milano, Firenze, Venezia, Olbia, Pescara, bologna, Cesenatico, Carrara) e altri 650 da reperire in tempi brevi per altre urbane del paese (Roma, Torino, Parma, Reggio Calabria, Napoli, Palermo, Cagliari, Vicenza etc). In questa prima esperienza di piano si sono sperimentate alcune buone pratiche che dovranno diventare, anche grazie al supporto delle nuove norme sul dissesto idrogeologico approntate in questo periodo, elementi centrali nel modello della nuova programmazione. Qui possono solo essere accennate: la selezione delle priorità come fatto tecnico e non politico (si sceglie su criteri oggettivi, tecnicamente fondati e trasparenti) e la spinta alla qualità della progettazione (peraltro validata dalle Autorità di Bacino e da oggi dai Distretti Idrografici) e ad una precisa gestione dei tempi di realizzazione (non più progetti “al buio” ma con cronoprogrammi precisi e sottoscritti dal responsabile della esecuzione). Inoltre l’attenzione alla fase della progettazione che necessita di risorse proprie e anche in parte indipendenti da quelle relative al successivo finanziamento delle opere che si è tradotta normativamente nel Fondo Progettazione previsto nel Collegato Ambientale recentemente varato dal Parlamento e che sarà a breve  messo a diposizione delle Regioni attraverso un Regolamento (DPCM) varato in collaborazione con il MATTM.

In una Rivista di ingegneri vorrei sottolineare particolarmente l’attenzione alla qualità della progettazione: qui andrà fatto lo sforzo più rilevante per fare in modo che l’attività di ricerca delle Università, le conoscenze dei professionisti e delle imprese e l’esperienza di chi opera nei cantieri arrivino in tutta la loro complessità e ricchezza  nel luogo istituzionale dove viene decisa la priorità e la finanziabilità di un progetto. Lo strumento per far arrivare questo flusso di conoscenza non può che essere il Sistema Ispra-Distretti Idrografici che dovrà diventare sempre di più l’elemento connettore della comunità scientifica e tecnologica diffusa e radicata nel paese (e non solo) e un certificatore di conoscenza utile per l’attività programmatoria e decisionale delle Istituzioni.

I prossimi passi in termini di programmazione sono rappresentati, una volta coperta la seconda tranche del Piano stralcio aree metropolitane con i restanti 650 milioni già previsti e programmati, dai costituendi Patti per lo Sviluppo del Sud. In quella sede ci saranno risorse principalmente del Fondo Sviluppo e Coesione destinate alla lotta contro  il dissesto che si tradurranno in interventi per le Regioni del Sud contro le alluvioni, contro le frane e l’erosione costiera ed anche per il ripristino di infrastrutture distrutte da fenomeni di dissesto.

Per il Centro Nord si prevede invece l’avvio di un Piano nazionale finanziato anche con risorse ordinarie di  Bilancio che potranno essere anticipate attraverso un prestito Bei e che andranno ad impattare anche sulle aree extraurbane che sono state invece trascurate con il Piano Stralcio sulle aree metropolitane.

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