Autore: Remo Pelillo - Autorità di Bacino del Fiume Tevere

Questa prima parte dell’articolo ha lo scopo di inquadrare il Piano di Gestione del Distretto dell’Appennino Centrale e il suo processo di generazione all’interno del quadro istituzionale e culturale in cui si collocano; diversamente, la semplice informazione sui contenuti del piano si trasformerebbe in un’arida elencazione di “fatti” di scarsissima utilità.

Come strumento di gestione di un sistema complesso (quello ambientale, contenitore della risorsa idrica) e come espressione di un sistema altrettanto complesso in quanto articolato su più livelli (quello istituzionale, decisore ultimo della strategia di tutela della risorsa), il piano porta in sè tutte le caratteristiche di un approccio ispirato alla massima integrazione più che alla massima specializzazione, ultima preoccupazione alla scala distrettuale (circa 40.000 km2)[1].

Il “come” del piano non è dunque scindibile dal “perché” e qui se ne daranno le ragioni, sottolineando un aspetto troppo spesso rimasto ai margini. Il Piano di Gestione è uno dei tanti “terreni di confronto” della costruzione dell’Unione Europea e come tale risente dei modi e dei tempi del processo di progressiva integrazione tra assetti istituzionali e strutture culturali storicamente diversi.

Una precisazione è d’obbligo: il recepimento nazionale della Direttiva n. 2000/60/CE ha vissuto – e vive tuttora – successive fasi di affinamento del D. Lgs. n. 152/2006 (si trascura qui l’anticipazione della direttiva rappresentata dal D. Lgs. n. 152/1999). Pertanto nel prosieguo la distinzione tra Direttiva n. 2000/60/CE e D. Lgs. n. 152/2006 non è solamente formale.

Ad oggi l’Italia è dotata della seconda generazione dei Piani di Gestione, la prima essendo stata redatta nel corso del 2009 in forza di una legge speciale (legge n. 13/2009) che conferiva la redazione dei primi piani di gestione alle Autorità di bacino nazionali (della legge n. 183/1989) presenti nei distretti idrografici individuati dal D. Lgs. n. 152/2006.

È noto (dalla Direttiva n. 2000/60/CE – Water Framework Directive, WFD) che il Piano di Gestione del Distretto (River Basin Management Plan, RBMP, nella locuzione anglosassone) determina, a valle dell’analisi ambientale (contenente i fattori biotici e abiotici e le loro relazioni) e dell’analisi economica (contenente gli elementi della contabilità dei flussi idrici aggregati agli usi della risorsa e i connessi flussi economici), gli obiettivi di qualità dei “corpi idrici” del distretto (Water Bodies, WBs, nella locuzione anglosassone). Questi costituiscono la struttura topologica del complesso dei sistemi idrografici e idrogeologici sui quali insistono le pressioni esercitate dalle attività umane. Tali pressioni sono controllate dal Programma delle Misure (Program of measures, PoM, nell’accezione anglosassone) che, integrato nel RBMP, rappresenta l’insieme delle misure con il quale sono conseguiti gli obiettivi di qualità dei singoli corpo idrici.

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