Cari Lettori,
il fascicolo de L’Acqua che Vi accingete a sfogliare chiude l’annata 2018.
Il numero ha carattere monografico, essendo interamente dedicato a celebrare i 90 anni trascorsi dalla fondazione della International Commission on Large Dams (ICOLD) e del Comitato Italiano, ITCOLD (Italian Committee on Large Dams), che ha contribuito alle attività di ICOLD sin dalla sua costituzione.
E’ di tutta evidenza l’importanza del raggiungimento di questo traguardo, per il quale mi congratulo vivamente con l’attuale Presidenza; traguardo che anche l’Associazione Idrotecnica Italiana, fondata nel 1923, ha festeggiato, appena cinque anni or sono.
Mettendo a disposizione un intero numero della sua Rivista, l’Associazione Idrotecnica Italiana ha anche inteso dare atto dell’intensa e proficua collaborazione che da alcuni anni intercorre con ITCOLD, dalla quale è anche scaturita l’organizzazione di alcune iniziative culturali comuni.
Il fascicolo è stato curato dal Presidente e dal Vice Presidente di ITCOLD, che volentieri ringrazio per la cura dedicata alla raccolta dei contributi e per l’elevato livello qualitativo delle numerose memorie pervenute; per una presentazione dei contenuti di queste ultime rimando alla loro esaustiva introduzione, che apre la rassegna.
In questa occasione, il mio editoriale, non avendo l’incombenza di trattare dei contenuti del fascicolo, è dedicato a proporre alcune sia pur brevi considerazioni, riflessioni e auspici, come peraltro si conviene in chiusura di annata.
Si sta per chiudere un anno nel quale l’Associazione ha confermato la sua vitalità e il suo efficace radicamento sul territorio; un anno nel quale sono stati molti gli eventi culturali organizzati dalle Sezioni territoriali e dalla Sede centrale, tutti come sempre di elevato livello qualitativo e costantemente caratterizzati da ampia e interessata partecipazione di pubblico.
Nell’impossibilità pratica di elencare tutte le iniziative organizzate dalle Sezioni, vorrei menzionare soltanto il prossimo evento a carattere nazionale, il Convegno “Fanghi biologici di depurazione: emergenza e prospettive a medio e lungo termine”, che si terrà a Firenze preso l’Auditorium di Santa Apollonia il 13 dicembre p.v.. E’ noto come la gestione dei fanghi di depurazione in Italia sia da tempo in una situazione critica, che richiederebbe un urgente intervento di regolazione normativa. L’Associazione ha quindi inteso organizzare un momento di confronto e di informazione aperto a tutti i molteplici attori e alle parti interessate al problema, coinvolgendo relatori di elevato profilo.
Credo che non possiamo non menzionare in questo editoriale gli eventi calamitosi che hanno recentemente colpito alcune parti del Paese, con grave tributo di vittime e di danni, evidenziando ancora una volta la precarietà del suo assetto idrogeologico.
A questi temi ho dedicato lo scorso anno un intero editoriale (n. 5/2017), contenente una riflessione complessiva sul problema e anche qualche proposta di intervento. Non desiderando ripetermi, anche per non abusare della Vostra paziente attenzione, mi limiterò a qualche breve ulteriore riflessione, che mi pare agganciata anche all’attualità degli interventi normativi in corso di gestazione.
E’ notorio che in Italia si spende troppo poco in interventi di prevenzione dal rischio idrogeologico: escludendo gli interventi di riparazione dei danni e in generale quelli post-evento, che esulano dalla prevenzione, lo Stato ha speso negli ultimi venti anni una media di circa 400 milioni di Euro/anno; per avere un termine di confronto, si può ricordare che la stima dei danni diretti (cioè quelli subiti dai beni mobili e immobili) causati da alluvioni e frane ammonta a circa 2.4 miliardi di Euro/anno. Ove si considerassero anche i danni indiretti, peraltro ben più difficili da valutare, la stima complessiva salirebbe a 4-5 miliardi di Euro/anno. Annualmente, quindi, lo Stato investe in prevenzione appena un decimo dei danni subiti, con una costante sottovalutazione del fenomeno, che ignora sistematicamente l’importanza della prevenzione.
Ma l’aspetto su cui vorrei oggi richiamare la vostra attenzione è la difficoltà di spesa che caratterizza l’intervento pubblico.
Recenti statistiche mostrano che il tempo medio per la realizzazione di un’opera di costo superiore a 10 milioni di Euro nel nostro Paese è superiore a 10 anni. In media, 3.4 anni sono per la progettazione, 1.4 anni per le procedure di affidamento, 5.3 anni per i lavori di costruzione dell’opera. Va innanzitutto menzionato che i dati citati si riferiscono ad un settore, quello del servizio idrico integrato, che certamente presenta complessità minori di quello della difesa del suolo; se si disponesse di analoghe statistiche per opere di difesa del suolo, sono convinto che si constaterebbero durate delle varie fasi ancora maggiori. Orbene, se i 5.3 anni per i lavori di costruzione di un’opera possono ancora sembrare accettabili (tenuto conto dei tempi tecnici di cantiere, ma anche del fatto che questo dato ingloba pure la durata dei non infrequenti contenzioni fra impresa ed ente appaltante), quello che appare inaccettabile è la durata delle altre due fasi. Per quanto riguarda la fase di progettazione, credo che vada innanzitutto spesa una convinta parola in difesa dell’efficienza e della qualità dei tecnici progettisti nazionali, per lo svolgimento delle cui attività le procedure di affidamento prevedono usualmente tempi molto brevi, spesso al limite dell’irrealistico. A rendere così elevata la durata della fase cosiddetta di progettazione non è tanto la durata della progettazione vera e propria quanto il tempo necessario per le fasi approvative del progetto, l’ottenimento dei pareri, le valutazioni ambientali e così via. I tempi necessari per la creazione del consenso sociale attorno a un’opera sono anch’essi inglobati in questa fase: fra “sindrome di Nimby” e “sindrome di Nimto”, questi ultimi tempi nel nostro Paese sono particolarmente lunghi, sempre nel fortunato caso che non portino addirittura ad accantonare l’intervento. Ancora più inaccettabile però, a me pare, è constatare che la durata degli affidamenti richieda ben 1.4 anni, ovvero che il 14% del tempo necessario a realizzare un’opera sia speso per espletare tali procedure.
Si tratta di temi sui quali, per quanto è dato sapere, potrebbe esserci un qualche tentativo di intervento normativo nel processo di revisione del Codice degli Appalti, che è attualmente in fase di gestazione. Auguriamocelo e auguriamoci anche che l’intervento di revisione normativa sul Codice consenta, per una volta almeno, a differenza del passato, di semplificare e velocizzare le procedure di realizzazione delle opere pubbliche. Questo paese ne ha veramente bisogno!
Chiudo rivolgendoVi i miei migliori auguri di una buona conclusione di annata, di buone festività natalizie e soprattutto di un anno nuovo sereno e portatore di tante soddisfazioni professionali.
Buona lettura!

Armando Brath